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Testi Critici - Critical Essays

AntonGiulio Vergine, Francesca Renda e Giulia Turconi, curatori di MUSPA

maggio 2020

Camilla Marinoni (1979) è nata a Bergamo, dove vive e lavora attualmente. Ha frequentato il corso di scultura presso l’Accademia di Brera e nel 2007 ha conseguito il diploma specialistico in Arte Sacra Contemporanea. Diversi sono i mezzi che Camilla Marinoni utilizza per dar forma alle sue opere: dalla terracotta, alla fotografia, dalla performance alla delicatezza del cucito. Le sue opere - legate da un unico e continuo filo rosso - raccontano la fragilità e l’irruenza dell’esistenza, attraverso un modo di sentire al femminile, e riportano ad antichi saperi, come il ricamo e la terracotta: mestieri, questi, culturalmente legati alla donna e che richiedono pazienza e lentezza, una lavorazione attenta. L’operazione creativa assume quasi le sembianze di un rituale, facendo emergere con potenza archetipica l’universo femminile, legato alla potenza rigeneratrice, ma anche al sangue spettro di nascita e morte.

Anche la ferita dunque riveste uno degli elementi chiave per la lettura del lavoro di Camilla Marinoni, una ferita che va sanata, lenita, ma innanzitutto mostrata. In questo consiste la cura: custodire, proteggere, pazientare. Dalla radice sanscrita “ku” (battere, osservare) o dal latino “cor” (cuore), la cura è espressione elementare del rapporto tra l’individuo e l’altro: indica un’attenzione empatica, un’amorevole compassione, ma anche un’agitata e autentica preoccupazione. “Aver cura” vuol dire esserci. In questa tensione tra calore e angoscia, si manifesta la potenza di un rapporto sempiterno, attuale più che mai, che racconta un processo curativo, e in ogni caso epurativo, “perché – secondo l’antica locuzione - scalda il cuore, e lo consuma” (quia cor urat).

Mara De Fanti, direttrice e conservatrice presso il Museo della Ceramica Gianetti

marzo 2016

Ho conosciuto il lavoro di Camilla Marinoni lo scorso anno, attraverso il concorso per giovani artisti CoffeeBreak.Museum che giunto alla terza edizione, ci regala sempre delle scoperte molto interessanti. Così è stato per il lavoro di Camilla.

In occasione della selezione delle sue opere in ceramica scrissi:
“L’elemento ceramico nei lavori di Marinoni è un valore aggiunto ad una poetica che si sviluppa attraverso l’utilizzo di vari materiali. Come supporto, sostegno all’espressione della ricerca dell’artista. Materiale che diviene sostegno, base, foglio, contenitore, supporto ad un lento e preciso lavoro di cucitura. Il filo e la terra, due elementi archetipici che esprimono un sentire femminile di pazienza e lavorazione. Storie di fili che si dipanano sull’elemento ceramico e muovono il pensiero da un capo all’altro facendoci riflettere sui legami tra le cose, tra le persone”.

La fascinazione che il lavoro di Camilla ha sugli spettatori è frutto di una sapiente indagine delle forme, dei materiali e ancor di più dei significati profondi delle sue intuizioni. Ogni opera ha un tempo rispettoso, di chi fa e di chi guarda, che ci rimanda alla creazione, all’energia che sperimenta se stessa per trovare nuove forme e soluzioni.

La sensibilità con cui questa giovane artista va a fondo nella sua ricerca, attraverso un impeccabile gusto semiotico, diviene quasi una meditazione, giornaliera, sull’oggetto, che viene sviscerato e compreso nei suoi significati più profondi.
Il lavoro appare delicato, intriso di un femminilità profonda che va al di là delle pratiche culturali femminili, per svelare una grande forza e una grande tenerezza che è di tutti gli esseri.

Coffee Break.museum 3^

Critica della giuria per il concorso CoffeeBreak.Museum 3^, Saronno

Maggio 2015

Mara De Fanti, direttrice e conservatrice presso il Museo della Ceramica Gianetti

 

L’elemento ceramico nei lavori di Marinoni è un valore aggiunto ad una poetica che si sviluppa attraverso l’utilizzo di vari materiali. Come supporto, sostegno all’espressione della ricerca dell’artista. Materiale che diviene sostegno, base, foglio, contenitore, supporto ad un lento e preciso lavoro di cucitura. Il filo e la terra, due elementi archetipici che esprimono un sentire femminile di pazienza e lavorazione. Storie di fili che si dipanano sull’elemento ceramico e muovono il pensiero da un capo all’altro facendoci riflettere sui legami tra le cose, tra le persone.

 

 

Sabina Melesi, gallerista presso Galleria Melesi

 

Camilla Marinoni mi ha colpito per i significati dei lavori per la cura e bellezza estetica degli stessi e per il fascino del mondo femminile che ci racconta, legato al ricamo e pieno di rimandi. Artista poliedrica trova nella ceramica ricamata un’ottima espressione.

 

 

Andrea Griffanti, consulente esperto in ceramica

 

Camilla Marinoni utilizza la ceramica in modo semplice non come fine ma come mezzo per tessere un percorso espressivo intenso e calibrato.Con pudore l’artista, usando il “FILO” come una sorta di guida, ci porta nel suo labirinto ove si incontrano piccole finestre di intimità, attimi di gioco e momenti di riflessione, un labirinto interiore nel quale Camilla Marinoni si muove con la consapevolezza di poterne uscire indenne, anche grazie alle solide radici sulle quali poggia la sua ricerca.

 

Cappella dei Quattro Elementi - Giuliano Zanchi

Testo tratto dal libro Strumenti 3 - Arte e Architettura Sacta Contemporanea Teologia Liturgia, ed Ancora, Milano

Settembre 2011

 

L’istituzione sembra oggi del tutto incapace, presa com’è a tenersi strette residue immagini del proprio passato, nel rinnovare la creatività spirituale che l’ha per molto tempo vista a fianco delle arti nel prodigioso compito di dare splendore sensibile alla grazia che abita l’umano. Tutto quello che si vede sembra perlopiù –oggi più che qualche decennio fa!- ingenua mimetica illustrativa, teologicamente insipida, spiritualmente innocua, ma sociologicamente rassicurante. Lo spirito tuttavia –come sa ogni buon discepolo del regno- va sempre dove gli pare e il suo lavoro ispiratore non manca di farlo. I suoi frutti migliori sono quelli più nascosti, prodotti nel laboratorio quotidiano della trincea pastorale, mediante il soffio diuturno di invenzioni sollecitate dalla vita. L’esercizio delle arti –quelle che in mancanza di letture più ricche di prospettiva continuiamo a chiamare contemporanee- finisce dunque per trovare terreno dove affondare le proprie radici creative in geniali esperimenti di periferia più che in convenzionali pianificazioni centrali. Una comunità di provincia sente il bisogno di dare forma ai luoghi della formazione e congiuntamente immagina lo spazio di iniziazione dello spirito. L’intelligenza con cui le due operazioni sono condotte in armonia fa la differenza. Perché lo spazio liturgico posto al cuore della nuova struttura non rappresenta la parte bella dell’insieme, ma il vertice sintetico di una intelligenza estetica cosparsa ovunque. Anche i bambini a cui è destinato questo luogo devono poter vedere –come l’Altissimo il primo giorno- che tutto è molto bello.

Di questa primordiale ammirazione –profonda e elementare nello stesso tempo- Camilla Marinoni sembra ritrovare le cifre minime, l’alfabeto di base, un codice di fondo. Elabora la propria invenzione sull’asse di un vettore numerologico di quelli umanamente collaudati dalla storia, la cui forza arcaica ha il potere di risorgere con una eloquenza che nemmeno l’aritmetica del disincanto moderno riesce a attenuare. Sicché Camilla Marinoni –accompagnata dall’acuta e rispettosa assistenza di amici sacerdoti- con la chiave del numero quattro apre l’impalcatura simbolica di questo spazio di iniziazione spirituale. L’oggetto centrale –come fosse un tema musicale destinato a propagarsi nelle sue variazioni- è un parallelepipedo di vetro che Camilla Marinoni, del tutto giustamente, vuole chiamare scultura, e non altare, per lasciarlo alla sua natura evocativa, libero da più onerosi vincoli liturgici. Il cubo di vetro è insediato nello spazio come una calamita invisibile. È sui suoi quattro lati che prende figura un’elaborazione figurativa che Camilla Marinoni elabora con la disinvolta libertà nei confronti dell’organico e del carnale che le viene forse dal suo smaliziato femminile senso del corpo, che non teme. Così il dettaglio anatomico, che l’arte contemporanea ha preso a frequentare con scabrosa disinvoltura, viene preso come l’alfabeto di base per una rinnovata elevazione simbolica del corpo. Il cervello, il cuore, l’utero, l’ovulo, sottratti con disarmante coraggio ai pruriti di uno spiritualismo senza immaginazione, appaiono plausibili ed eloquenti icone della meraviglia della creazione, della sublimità materiale dell’umano, della vocazione spirituale del corpo, di cui gli arcani vocaboli della scrittura ebraica esprimono la risonanza perfetta.

I numeri primi della creazione, le parole originarie della scrittura, gli organi base della vita, intrecciano la loro tetragona sapienza con gli elementi della natura, il fuoco, l’acqua, l’aria, la terra, che per non scadere nello schema di esoteriche teosofie, vengono incarnati nel racconto di evocazioni bibliche e evangeliche, tradotte in piccole pièces attraverso quattro video che rinnovano la forza illustrativa con cui un tempo l’arte metteva in scena la storia sacra.

Il resto dello spazio, dalle tende alle vetrate agli arredi, appare come una specie di vegetazione minimalista di oggetti incaricati di completare invisibilmente l’opera, con lo strano potere dei dettagli di incidere nella differenza. In questa invenzione liturgica, che non mancherà certo di attrarre anche le perplessità di devoti privi di spirito, Camilla Marinoni raccoglie forse nella sintesi di una concezione unitaria i frutti sparsi di esperimenti dallo spettro ancora disperso. Vi si percepisce dello spirito che sembra stare lì dentro molto a suo agio.

 

 

Camilla Marinoni e la ‘grande reliquia del passato nel presente’ - Andrea B. Del Guercio curatore/critico d'arte

aprile 2009

 

Ho personalmente seguito l’intero percorso espressivo di Camilla Marinoni giunta nei miei corsi di storia dell’arte con all’attivo già una marcata attenzione alla cultura contemporanea dell’arte ed in particolar modo alle questioni tematiche del comportamento sociale e delle relazioni interpersonali; sin dalle prime battute, con alle spalle un curriculum scolastico specifico la giovane Marinoni dimostrava particolare attenzione all’uso plastico dei materiali e alla loro contaminazione in senso antropologico, dove, legno, stoffa, cera e ferro apparivano testimoni di riferimento sia simbolico che di funzione d’uso.

Nel biennio di specializzazione in arti visive è maturata, con una produzione dettagliata, all’area del comportamento femminile di cui ha osservato alcune tematiche specifiche; si è trattato di un periodo in cui progettazione e studio iconografico elaborazioni di immagini e di soluzioni spaziali si qualificavano attraverso la documentazione e la ricerca in quegli eventi rintracciabili nella quotidianità ed in una sorta di insistenza metastorica. Ho apprezzato in questa fase come la giovane artista abbia principalmente puntato alla costituzione di un background personale sia sul piano teorico con approfondimenti verso la comunicazione del proprio essere femminile, dall’infanzia alla maternità, ma anche attraverso la costituzione di un caleidoscopio iconografico in cui trovano spazio simboli e strumenti della quotidianità, dall’abito al corpo al gioiello ad alle sue soluzioni di strumento di difesa.

Nella produzione degli ultimi due anni questo ricco patrimonio di ricerche è andato configurandosi meglio con una serie di opere e la loro precisa collocazione in un percorso espositivo sia collettivo che monografico. Il lavoro di Camilla Marinoni può essere riassunto, anche con una certa forzatura tematica alla questione della reliquia, ciò di un oggetto o di un evento, di un soggetto o di una manifestazione, ora protetta ora aggressiva, ma intima, fortemente personalizzata ed offerta alla percezione collettiva i materiali sopracitati hanno svolto un lavoro di supporto preciso e mirato perché il catalogo delle sue opere andasse a risultare una grande reliquia del passato nel presente; sono nati “sudari”, “gioielli-abiti”, immagine del corpo e lenzuoli impressi da una biologia fisico-concettuale, atti a narrare la presenza inamovibile dell’esperienza nel tempo attraverso il ricordo e la vitalità dell’emozioni.

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